HAI IL DIABETE? C’È UNA BUONA NOTIZIA PER TE

AL VIA LA PRIMA CAMPAGNA EDUCAZIONALE ‘IN POSITIVO’

L’iniziativa è patrocinata da Società Italiana di Diabetologia e Associazione Medici Diabetologi 

Scatta la ‘regola del 7’: per chi ha il diabete l’obiettivo da raggiungere è avere l’emoglobina glicata al di sotto del 7%. Sette sono anche le regole della prevenzione e le cose da sapere su questa malattia. Sette saranno anche le ‘cose insopportabili’ che decideranno i pazienti attraverso un sondaggio on line sul sito www.novitadiabete.it.Le due principali società scientifiche del settore e le rispettive fondazioni di ricerca, si uniscono patrocinando una grande iniziativa a favore dei pazienti con diabete che in Italia sono quasi quattro milioni.

Milano, 01 Febbraio 2018 - Troppi zuccheri causano il diabete? I carboidrati fanno male ed è meglio rinunciare ai dolci? E’ una malattia genetica? I miti da sfatare sul diabete sono tanti così come sono tante le cose che si possono fare ogni giorno per una corretta prevenzione di questa patologia che in Italia riguarda tre milioni e settecentomila persone diagnosticate e circa un milione di casi non ancora noti.  Attualmente sono 425 milioni gli adulti nel mondo che convivono con il diabete, la maggior parte con quello di tipo 2 e si stima che nel 2030 saranno 500 milioni di persone. Ma anche per chi soffre di diabete c’è una buona notizia, anzi sette: una per ogni giorno della settimana. Grazie alla prima campagna educazionale “Hai il diabete? C’è una buona notizia per te” è una iniziativa di Lilly e patrocinata dalle due principali società scientifiche del settore – la Società Italiana di Diabetologia e l’Associazione Medici Diabetologi – e dalle rispettive fondazioni di ricerca, grazie alla quale i pazienti potranno scoprire quali sono le regole per una migliore prevenzione e per un più adeguato stile di vita, ma soprattutto essere informati sulle sempre maggiori e innovative soluzioni per semplificare la routine della gestione quotidiana e convivere con questa malattia con più libertà e meno stress. L’esigenza di semplificare la gestione di questa malattia è molto sentita anche perché in questi ultimi anni l’età di insorgenza del diabete si è abbassata. Secondo i dati dell’ultimo Rapporto Arno, infatti, circa un milione di pazienti ha tra i 20 e i 64 anni di età ed è, quindi, ancora pienamente attivo e ha bisogno di lavorare perché curare il diabete costa: in media 2900 Euro all’anno contro i 1300 spesi da chi soffre di altre patologie ma non di diabete. La campagna è partita in questi giorni, invitando non solo i pazienti a chiedere informazioni al diabetologo su come facilitare la routine di gestione quotidiana, ma coinvolgendoli on line in una sorta di ‘sondaggio’ on line (7 cose insopportabili) sul sito www.novitadiabete.it per capire ciò che trovano più difficile affrontare con il diabete. 

Parola d’ordine: semplificare

Dove ho messo le medicine? Cosa posso mangiare a pranzo? Sono due tipiche domande che angustiano la vita quotidiana del paziente diabetico che sente molto forte l’esigenza di semplificarsi la vita anche perché questa malattia colpisce sempre più spesso persone che sono ancora attive professionalmente e socialmente. Dai dati dell’ultimo Osservatorio Arno, infatti, emerge che il 65% dei diabetici ha 65 anni o poco più, ma circa il 35% dei soggetti, cioè più di un milione di persone, è in piena età lavorativa (20-64 anni) mentre un paziente su 5 ha età pari o superiore a 80 anni e il 2% ha meno di 20 anni.  

Per tutte le persone che sono ancora attive – dichiara  Giorgio Sesti, presidente Società Italiana di Diabetologia (SID)  – il diabete rappresenta un limite importante ed a volte è anche motivo di discriminazione sul posto di lavoro Infatti, i datori di lavoro, specie se si tratta di un’attività non sedentaria o che prevedono turni notturni, considerano questi soggetti poco affidabili e temono che possano avere dei malori mentre sono al lavoro”.  L’abbassamento dell’età media in cui insorge il diabete è uno degli aspetti che preoccupa di più gli esperti.  “A causa degli scorretti stili di vita – spiega  Domenico Mannino, Presidente Associazione Medici Diabetologi (AMD)  –  l’età si sta abbassando sempre di più tant’è vero che stanno aumentando anche i casi di diabete giovanile. Ciò comporta anche una spesa aggiuntiva sia per le famiglie che per il Sistema sanitario perché prima ci si ammala più a lungo si resta malati e questo comporta non solo un danno psicologico ma anche spese maggiori per visite mediche, giorni di lavoro persi e complicanze più serie come infarto, ictus o insufficienza renale che costringono i pazienti ad andare in pensione prima richiedendo il riconoscimento di un’invalidità”.

L’obiettivo del 7%

Per tutti, ma a maggior ragione per i diabetici più giovani, è fondamentale seguire le regole per evitare che la malattia progredisca o provochi altre complicanze. 
Sappiamo – prosegue  Sesti  – che in tutta l’Unione Europea e quindi anche in Italia, circa il 40% delle persone con diabete di tipo 2 in trattamento solo con terapie orali non raggiunge il target dell’emoglobina glicata al 7%. Le Linee guida per il trattamento del diabete, infatti, stabiliscono che per avere un buon controllo metabolico e per evitare complicanze gravi, il valore dell’emoglobina glicata deve essere inferiore al 7% e addirittura al 6.5 % per chi è agli esordi della malattia senza complicanze”. 

I timori del medico e la scarsa aderenza alla terapia

Ma perché non si rispetta questo target? I motivi sono molteplici.  “Non è facile convivere con una malattia cronica – dichiara  Mannino –  perché richiede profonde modifiche nello stile di vita che costringono chi ne soffre a comportarsi diversamente da tutti gli altri. Per esempio, chi ha questa malattia deve sempre prestare attenzione all’alimentazione e deve ricordarsi di prendere le medicine ma se tutti gli altri intorno tendono ad avere uno stile di vita sregolato è più difficile non cedere alla tentazione di ‘sgarrare’ anche tralasciando di prendere il farmaco”. 
Ma anche i medici hanno un ruolo. 
“In alcuni casi – dichiara  Sesti  – ci può essere un’inerzia terapeutica da parte del medico che si accontenta di avere un’emoglobina glicata prudente e quindi non intensifica il trattamento. Infine, c’è la paura di provocare ipoglicemia perché alcuni farmaci possono avere come effetto l’abbassamento eccessivo della glicemia, fatto che può aumentare il rischio cardiovascolare, il rischio di cadute ed anche la sudorazione con un complessivo peggioramento della qualità di vita”.

Farmaci innovativi ancora poco usati 

“Peccato – precisa  Sesti  – perché oggi ci sono farmaci più innovativi che non hanno l’effetto di indurre ipoglicemia e che consentirebbero di raggiungere quel target del 7%. Purtroppo, però, si continuano ad usare poco i farmaci orali e iniettabili non insulinici più innovativi mentre si fa un uso ancora decisamente elevato di farmaci orali datati come sulfoniluree e glinidi, il cui uso è associato a rischio di ipoglicemia e incremento ponderale. I farmaci più innovativi, invece, non sono associati a rischio di ipoglicemia e contribuiscono anche a ridurre il peso”. 
Questi nuovi farmaci, però, non possono essere prescritti dal medico di medicina generale ma solo dal diabetologo. 
“Poiché circa il 50% dei pazienti diabetici sono seguiti solo dal medico di famiglia – spiegano i  presidenti SID e  AMD  – questo significa che a tutti loro viene negata l’opportunità di essere curati con i farmaci più innovativi che possono essere prescritti solo dallo specialista. Oggi ci sono farmaci innovativi che consentono somministrazioni settimanali e che non comportano il rischio di ipoglicemia. Abbiamo inoltre a disposizione anche sistemi sofisticati di iniezione dei farmaci che sono come delle penne tascabili che si possono portare dietro con molta praticità. Il problema è che forse il paziente non è abbastanza informato in merito e per questo la campagna educazionale vuole colmare questa carenza in modo che il paziente possa chiedere al diabetologo tutte le informazioni di cui ha bisogno”. 

I rischi di chi si cura male 

Uno dei problemi, in effetti, è proprio il fatto che spesso anche chi ha ricevuto una diagnosi resta in carico al medico di medicina generale troppo a lungo senza consultare uno specialista per paura di dover ricorrere subito al trattamento con insulina. Ma questo ritardo provoca conseguenze molto serie per la salute del paziente diabetico. Infatti, la malattia cardiovascolare (MCV) è la prima causa di morte nei pazienti con diabete mellito; il 65% dei diabetici di tipo 2 muore per cardiopatia ischemica o stroke; un adulto diabetico ha una probabilità doppia di soffrire di MCV rispetto a un non diabetico. Il problema è che in Italia non è stata pienamente attuata la gestione integrata prevista dal Piano Nazionale del Diabete varato dal Ministero della Salute e sottoscritto dalle regioni. 
“Il Piano – chiarisce il prof.  Sesti  – stabilisce che debba esserci una piena integrazione tra medico di base e specialista per cui ogni volta che c’è un cambio di terapia o una complicanza il paziente deve essere mandato al centro di diabetologia. Purtroppo, questa integrazione non si è mai realizzata se non in poche regioni tra cui Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Abruzzo”.  

Quanto costa il diabete e le sue complicanze 

Rimandare il consulto con uno specialista e non seguire le regole della prevenzione comporta conseguenze sia sulla salute del paziente che sul portafogli. Chi si ammala di diabete, infatti, rappresenta un costo importante per le proprie famiglie ma anche per il Servizio Sanitario Regionale e Nazionale. Secondo i dati del Rapporto Arno, tra le persone con diabete, il 96% riceve almeno un farmaco. Il numero di confezioni di farmaco prescritte è circa doppio rispetto a quanto prescritto in assenza di diabete (74 contro 36). Inoltre, circa l’85% delle persone con diabete riceve almeno una prestazione specialistica (visita o esame di laboratorio o strumentale o trattamento ambulatoriale). Le prestazioni prescritte in presenza di diabete sono decisamente più alte (+56%) rispetto a quanto prescritto in assenza di diabete (41 contro 26 ogni anno). Il tasso di ricovero ordinario è più che doppio nelle persone con diabete (282 contro 122 per 1000 persone) e il numero medio di ricoveri è del 30% più alto. Insomma, la cura del diabete costa più del doppio rispetto ad altre patologie croniche come ipertensione e colesterolo.  

2900 Euro per il diabete versus 1300 senza diabete 

Dai dati del Rapporto Arno, infatti, emerge che il costo complessivo per il monitoraggio e la cura è circa 2900 all’anno rispetto a circa 1300 euro in assenza di diabete. Circa la metà della spesa si riferisce ai ricoveri, il 17% alla specialistica, il 23% ai farmaci diversi dagli anti-iperglicemici, il 7% ai farmaci anti-iperglicemici e il 4% ai dispositivi. “In realtà – conclude  Sesti – la somma di circa 2900 euro sottostima la spesa reale perché è definita dalle tariffe del sistema dei DRG. Considerando che ogni giornata di degenza costa in media 750 euro e che la degenza media è stata 11,2 giorni, la voce della spesa per ogni ricovero sale mediamente a 8400 euro, quasi il triplo di quanto calcolato con le tariffe DRG”. Inoltre, il costo attribuibile alle complicanze e alle comorbidità (vere e proprie complicanze della malattia) rappresenta il 90% del costo totale della malattia mentre la gestione del problema metabolico costa solo il 10%.

Per maggiori informazioni:

Sara Amori

Comunicazione

Eli Lilly Italia SpA

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Carlo Buffoli, Gino Di Mare 

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